"Potrei essere vostra madre, o vostra sorella - per fortuna non lo sono,
perché immagino che per quanto amiate le vostre madri e sorelle, la loro
saggezza vi appaia come un altro pezzo di quel presunto perbenismo che siete
venuti a disfare con le vostre mani, con le vostre braccia giovani, con le
vostre spranghe e i vostri bastoni. Ma non sono né vostra madre né vostra
sorella, sono una giornalista, lavoro da tanti anni in una radio indipendente, e
da poco meno di un anno faccio un lavoro che prima nemmeno esisteva, il curatore
di social media, una persona che verifica e sceglie contenuti tratti dal lavoro
collettivo della rete per produrre a sua volta contenuti informativi. Seguo da
dieci mesi le rivolte arabe, e questo mi ha cambiato la vita. Non solo perché le
rivolte l’hanno cambiata a tante persone, ma perché le migliaia di ragazze e
ragazzi che stanno lottando per il futuro dei loro paesi mi hanno restituito la
passione civile, mi hanno fatto sentire interrogata sui modi in cui facciamo
politica, mi hanno strappato dal meccanismo di delega vuota degli ultimi
quindici anni, e mi hanno fatto restare in un paese che prima volevo lasciare.
Studiare l’attivismo in rete mi ha condotto alle stesse conclusioni di altre
decine di curatori: non esiste bloggare o twittare da una posizione di
neutralità; si può offrire alla rete la propria esperienza di verifica, di
studio, di approfondimento, ma si diventa partecipi, e in qualche modo
attivisti, senza quasi rendersene conto, senza averlo deciso. E un bel mattino
si accetta che sia così. Perché, vi assicuro, non si può stare immersi nella
lotta di piazza Tahrir senza sentirsi in qualche modo responsabilizzati,
interrogati nel profondo, chiamati - non a riempirsi la bocca di slogan, ma a
fare sul serio. E così come faccio dirette Twitter sul Cairo col cuore in gola
perché ad ogni sit-in o corteo uno di quei ragazzi può lasciarci la pelle - come
è successo a Mina Daniel, disarmato, durante il massacro dei copti il 9 ottobre
- così ho twittato la Roma del #15O con crescente apprensione. Ho avuto paura
che vi faceste accoppare da un poliziotto che perdeva la testa. Ho avuto paura
che vi faceste pestare a sangue come chi è stato a Genova dieci anni fa ricorda
bene e non dimenticherà mai. Ho avuto paura che saltaste in aria nell’esplosione
di una di quelle auto che avete bruciato. Ho avuto paura che uno di quei
blindati ubriachi vi investisse. Ho avuto paura che ammazzaste un poliziotto. Ho
avuto paura che il vostro disprezzo evidente per la gran massa di gente perbene
fra cui vi siete mimetizzati vi portasse a ferire, o a uccidere, o a far
uccidere, una persona che un bastone o una spranga non li userebbe mai.
Poi
ho capito che voi non avete paura. Voi vi piacete così, vi sentite belli con la
vostra ferocia, con la vostra rapida coreografia della morte, ho capito che
corteggiate il pericolo, che non vi importa delle conseguenze, che pensate di
non avere niente da perdere (e siete troppo giovani per capire che invece avete
parecchio), e soprattutto ho capito che non state costruendo niente. Senza
quella folla immensa in cui vi siete nascosti - lo sapete benissimo - non siete
niente, nessuno vi guarda, nessuno si cura di voi, non contate un accidenti. È
vero, siete bellissimi e subdoli e veloci come un branco di lupi che discende in
pianura. I miei amici antagonisti vi ammirano, sono dalla vostra parte,
riconoscono in voi una rabbia profonda che tutti proviamo. Salvo poi essere un
filo confusi - infiltrati della polizia oppure intrepidi compagni?
Devo
scrivervi perché ho rispetto per chi muore per le cose in cui crede. Per chi non
ha scelta. Per chi in piazza ci va studiando, facendo fatica, mediando con
persone che la pensano diversamente. Per chi si stanca, e piange, per chi
diventa eroe suo malgrado, e perde amici e fratelli, e pure non smette. Per chi
da dieci mesi non dorme una notte intera, per chi si interessa della democrazia
e si domanda come crearne una che funzioni e darle il proprio contributo. Per
chi si fa un culo pazzesco nelle scuole, nella magistratura, nei sindacati
clandestini, nei giornali censurati, nella tutela legale dei prigionieri
politici, nel servizio d’ordine della piazza più rivoluzionaria del mondo. Per
chi va in galera a vent’anni per aver scritto una cosa di troppo in un blog, o
viene torturato per un graffito. Per chi rinunciando ad armarsi ha scelto la
strada più lunga e produttiva. Per chi le botte e i gas lacrimogeni se li
risparmierebbe se potesse, per chi i sassi li tira perché ha di fronte un
apparato infernale e corrotto che da 40 anni lo schiaccia e lo tortura - e non
per modo di dire. Per chi soltanto una settimana fa ha visto i soldati gettare
nel Nilo cadaveri di cristiani disarmati. Voi siete solo imitatori, attori,
pedine. Non avete rispetto per i vostri diritti, e ricoprite un ruolo ridicolo
nella stessa recita che tanto detestate. È nato un movimento internazionale, se
vi va di rendervene conto, che potrebbe perfino salvarci dal nostro
provincialismo. Ha quattro regole in croce, e chiede di rispettare solo quelle.
Ha scelto la resistenza passiva - la studia, la pratica, sa a cosa serve. Se
volete, è anche casa vostra. Sta a voi. Dentro al movimento, con le vostre forti
braccia e magari anche il cervello, potete sperare di contare qualcosa. Ma se
non avete rispetto, se non vi fidate di nessuno, se siete cinici e nichilisti e
avete già deciso che non cambierà mai niente, se pensate di essere un po’ più
derubati degli altri, più precari degli altri, più disoccupati degli altri,
allora andate a fare gli esclusi per scelta sugli spalti degli stadi, o a
spaccare vetrine da soli finché non sarete cresciuti - con la vostra illusione
di avere sempre ragione, di sfidare il sistema, o di distruggere i simboli della
proprietà privata mentre è vostro padre che paga ancora le rate. Vi va bene che
siete italiani. Vi va bene che qui c’è qualcuno a cui fa comodo che esistiate,
che finge di non vedere i bastoni nascosti a San Giovanni dalla sera prima, che
non vi ferma alla stazione Termini mentre passate col viso coperto e un metro di
legno che vi spunta dagli zaini. Vi va bene che qui il rapporto di fiducia con
la polizia è così corroso e malato che a via Merulana si è fatta un’assemblea
tragica in mezzo ai lacrimogeni per decidere se consegnare o no 3 di voi agli
agenti - perché la polizia è maiale se ti carica, o se carica quelli sbagliati,
ma è anche vigliacca se non ti protegge dai provocatori. Vi va bene che siete
nati in un paese così bizantino e pieno di segreti che le teorie del complotto
sono sempre lecite. Vi va bene che siete in un paese vecchio, l’unico in cui il
movimento che dichiara la fine di un sistema fallimentare scende in piazza
ancora coi suoi stracci di bandiere, con le sue divisioni tribali, con i suoi
rottami di sindacato, col suo ritardo spaventoso in un paese governato da un
impunito. Vi va bene che siete in un paese ipocrita, teatrale, che sfila in tv
ma poi alle assemblee di discussione non ci va, e che ha aspettato invano per
anni che qualcuno lo chiamasse in piazza invece di andarci e basta. E vi va bene
che siamo ancora così stupidi da organizzare cortei-fiume in mezzo ai palazzi
più preziosi del mondo invece di occupare pacificamente una piazza - perché
certo, poi ci toccherebbe anche metterla in sicurezza noi stessi, e tenerla
pulita, e prendercene la responsabilità. Vi va bene che vi sia stato offerto di
nuovo un palcoscenico - voi, e tre ore di caroselli anni ‘70 delle camionette in
diretta tv. Col “sistema” sembrate d’accordo almeno su una cosa: sul fatto che è
meglio non manifestare del tutto, che è meglio tenere la bocca chiusa e starsene
a casa, cioè esattamente l’opposto di quello che reclama questo movimento - il
diritto a riprendersi lo spazio pubblico, e a usarlo per il bene comune. Avrete
pure vent’anni ma siete vecchi anche voi, non scandalizzate nessuno, e vi
lasciate usare. Vi hanno fatto credere che la prima linea sia quella piazza da
cui avete divelto i sanpietrini, e ci siete cascati. E invece, come vi dirà
qualunque vero rivoluzionario, la prima linea è dentro, e si trova insieme, e
costa tempo, pazienza, e fatica.
Una cosa è sicura - questo movimento sarà
anche ingenuo, ma tanto non sarete voi a cambiare il mondo. Avreste dovuto
restare a bocca aperta, quando la basilica ha aperto i suoi giardini ai
manifestanti soffocati dai lacrimogeni a San Giovanni. A bocca aperta per la
bellezza straordinaria di quel luogo che appartiene all’umanità intera, e che è
nostro privilegio conservare a prescindere dalla fede religiosa. E qualcuno
avrebbe dovuto dirvi che a gennaio, per proteggere con una catena umana il Museo
Egizio del Cairo, uomini e donne si sono presi per mano mentre dai tetti gli
sparavano addosso i cecchini del loro stesso presidente. E che quegli uomini e
quelle donne sanno che la non-violenza ha un prezzo salato, come 700 morti, che
non si finisce mai di pagare. Ma ci ricordano che è uno strumento collettivo di
straordinaria civiltà e potenza; ti permette di vincere battaglie decisive, ti
migliora, ti moltiplica, ti eleva, ti fa contare sul serio, e ti conquista il
rispetto del mondo."
Marina Petrillo
L'originale, qui.
Cos'è nowhere in my mind? Un tentativo di eliminare per sempre la cartastraccia, uno sfogo alla megalomania? Un modo per essere spiati dal buco della serratura?Un diario, un noioso, intimo diario. Se ci si incappa per sbaglio, pazienza, è come trovare un foglietto per strada mezzo scritto. Di chi è, di chi parla, nessuno potrà mai capirlo e saperlo se non per qualche strano evento del destino, che ci tratta come bambole di pezza con cui giocare e poi da buttare via.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
4 commenti:
Bellissimo!
un ottimo e lucido post.
E' meglio che non dica nulla di ciò che è successo sabato a Roma. E infatti non dico nulla. Meglio è. Meglio.
wow.
Posta un commento