giovedì 31 luglio 2014

Immagini

Domani prenderò gli aerei che mi riporteranno a casa.
Di queste tre settimane mi resterà la spossatezza, il ricordo di NY, la sensazione che tutto il mio team sia in preda all'ormone pazzo.

Andiamo con (dis)ordine:
Lavoro 10 o 11 ore al giorno, ho a malapena il tempo per dormire e cercare di riposarmi. Quando sono arrivata all'aeroporto per andare a NY, mi sono resa conto di come fossi già non stanca fisicamente, ma mentalmente. Per fortuna, Gao con la sua gentilezza e ospitalità mi ha davvero fatto dimenticare il lavoro, complice anche una delle città più belle del mondo che è stata la vera protagonista del weekend.
Mi ha fatto camminare tanto, in modo da vedere tanti scorci suggestivi. Attraversare il ponte di Brooklyn (non sapevo nemmeno si potesse attraversare) e godere della skyline e del vento che rinfrescava è stato credo il momento che mi è piaciuto di più in assoluto. Non posso che ringraziarlo per l'ospitalità e per l'estrema disponibilità...non credevo si potesse fare così tanto per un ospite!

Tornata dal weekend l'intero team (e sono svariate persone) mi ha subissato di domande, stupendosi che il mondo sia ancora un posto dove si fanno nuove conoscenze e dove una serena esperienza sia possibile. Tendo a pensare che la gioiosa apertura a fiduciose esperienze nei confronti di sconosciuti sia davvero un fatto in estinzione...io stessa mi rendo conto come siamo tutti diffidenti a causa di tutto quello che succede nel mondo, ma spero di restare sempre abbastanza fedele a questo desiderio di conoscere persone, sperando sempre di fare begli incontri. Forse è l'attitudine che fa la differenza, e la mia sensazione è che le persone che lavorano con me abbiano proprio esaurito la fiducia negli altri.

Un'altra cosa che ho notato nei miei colleghi, tutti uomini non single, è l'aumento esponenziale (oltre che della stanchezza a lavoro) delle battute di bassissimo, ma proprio bassissimo livello che non solo si sprecano, ma si moltiplicano come conigli in primavera, man mano che passano i giorni. Arrivati alla terza settimana di permanenza forzata dall'altra parte del pianeta, credo di assistere impotente a delle tempeste ormonali non indifferenti. Dal collega insospettabile che riceve un rimborso inaspettato dall'erario e che esprime il desiderio di festeggiare avvalendosi dell'ausilio di donne compiacenti e fatturanti (sottolineando pleonasticamente il plurale), al capo caciarone che mi chiede se immagino mai qualcuno dei miei colleghi intento a pratiche intime (giuro) (la mia risposta: no).
Non che io voglia fare la bacchettona, nè che non comprenda le naturali e fisiologiche necessità, ma la cosa mi avvilisce un poco, in quanto non posso nè dire quello che penso, nè rispondere a tono. E' difficile spiegare le dinamiche di un team dove si vive per alcune settimane perennemente a contatto gli uni con gli altri, un po' come se fossimo in barca, con spazi personali limitati e tempo libero che rasenta lo zero. Essendo poi io un elemento destabilizzatore (perchè non sgomito per fare battute, non mi devo rasare la barba e limito le parolacce in pubblico) quando se ne fanno scappare una mi guardano per controllare la reazione. Vorrei essere invisibile in quei momenti, ed entro in modalità milanese-sulla-metro-all'ora-di-punta. E' quel potere che si acquisisce con gli anni a forza di prendere la metro, quando sei tutto schiacciato col gomito del vicino piantato nei fianchi e la fronte premuta contro il vetro della porta, eppure fingi di essere disperatamente solo in quel vagone. Però qui non funziona tanto, forse ha un raggio di azione limitato ai mezzi pubblici...peccato.
Collega Sportivo (Sporty Spice ahah) ha cominciato a tendermi agguati verbali come si faceva alle elementari, peraltro: ha capito cosa mi dà fastidio, e continua a farci battute sopra.
Anni di parenti che si divertono da matti a farmi incazzare dovrebbero avermi temprata, ma mi accorgo che è tutto inutile...mi incazzo lo stesso. La sensazione è quella del bambino che ti tira le trecce per dimostrare simpatia. Dentro di me medito di abbassargli il menisco fino alla caviglia con un calcio ben piazzato, ma cerco di ricordare che la violenza non porta mai a nulla (e poi è più grosso di me, parliamone), e abbozzo malamente.

Forse un giorno imparerò la Pazienza, per ora sogno ad occhi aperti di avere la risposta pronta, cosa che non ho. Il mio unico SuperPotere è quello del jet lag. Ne sono immune. Io arrivo, mi corico, dormo. Fine. Non importa che ore siano, non importa se ho già dormito: mi adatto.

6 commenti:

Carla ha detto...

Proprio lo stereotipo dell'americano medio, che tristezza :-/

Zion ha detto...

Peccato che siano italiani!!!

Carla ha detto...

Per cui peggio dell'americano medio... Argh

Anonimo ha detto...

Si chiama jet lag, non jet leg!
To lag è anche un verbo, btw.

Zion ha detto...

@anonimo: è un typo, giuro che so come si scrive jet lag. :-P

Zion ha detto...

@anonimo - di nuovo: invece mi sono accorta di averlo scritto male ovunque. Forse non so davvero come si scrive. ok, segnato, imparato (forse).